Spiegare perchè il Taurasi sia un vino fantastico, non inferiore ai più grandi vini italiani, è cosa complicata, soprattutto per la scarsa conoscenza del vitigno (aglianico) e il poco marketing che, a causa della endemica arretratezza di queste zone, il vino riceve.
Un utile contributo è dato da questo articolo del prof. Palma.
Gli esperti sostengono che il Taurasi sia il fratello maggiore del Barolo e della Barbera, o addirittura che sia tutti e due insieme.
Nell'Italia centro meridionale, escludendo la Toscana e L'Umbria ma includendo la Sicilia, esiste un solo vino rosso a denominazione d'origine controllata e garantita, ovvero Docg, che è il Taurasi.
Questo nome appartiene ad un piccolo comune rurale della provincia di Avellino: un'antico paese che, posto sopra uno sperone alto 398 metri, domina la valle del Calore popolata di vigneti.
E che, fiero delle sue origini sannite, tramanda la memoria di fatti d'arme della storia di Roma e del Medioevo.
Tito Livio lo chiamò “Taurasia delle vigne opime”.
Ma parliamo del vino.
Nel 1993, dopo aver portato degnamente la Doc per 23 anni, avendo rispettato sia il primo disciplinare di produzione del '70 sia il secondo del '91, ottenne il massimo riconoscimento nazionale che lo caratterizzò e lo qualificò, ancora di piú, nella nobiltà dei suoi natali, conferendogli il diritto di entrare nel gotha dei vini “garantiti” che in tutt'Italia oggi sono venti.
Peccato che la produzione sia molto ristretta, dal momento che le nove aziende operanti il loco riescono a produrre soltanto 140.000 bottiglie, non di piú.
Ciò nonostante il Taurasi occupa un posto d'onore sui mercati nazionali ed esteri, schierato com'è tra i maggiori “rossi” d'Italia, sia piemontesi che toscani, sia veneti che umbri.
Conquistò la Docg dopo una serie di annate straordinarie ('85, '87, '88 e '90) molto ricercate dai collezionisti, anche perché il Taurasi non ha bisogno del cosiddetto “rinfresco” per farsi ringiovanire periodicamente da annate piú recenti, come accade invece per altri vini di grande fama.
“Il Taurasi - conferma Michele Vitagliano nel suo volume i vini Doc irpini - non ha nessuna necessità di ricorrere a questo o ad altri accorgimenti tecnici”.
Infatti, nella sua longevità, non perde mai vigore e non dimostra mai gli anni che ha.
Nasce in una zona felice dove sussistono tutte le condizioni perché i tre fattori naturali, ossia terreno, vitigno e clima, congiuntamente con il fattore umano, concorrano a produrre un vino di valore qual è, appunto, il Taurasi.
Al quale, lo ricordiamo per inciso, si affiancano due altre “perle” enologiche dell'Irpinia, il Greco di Tufo, Doc dal 1970, ed il Fiano di Avellino, Doc dal 1978, che sono entrambi in predicato di ottenere anch'essi la Docg.
Il Taurasi ha la seguente composizione ampelografica: uva di Aglianico (il miglior vitigno dell'antichità, la Vitis Hellenica) vinificata in purezza, vale a dire al cento per cento, oppure con il concorso di altre uve della zona (Piedirosso, Barbera, Sangiovese) ma fino ad un massimo del qindici per cento.
L'area vinicola comprende 17 comuni iripini, ma ha come epicentro il comune di Taurasi, “Sei in terra di eccezionale vocazione vinosa”, scrive Luigi Veronelli.
Ed aggiunge con entusiasmo: “Taurasi, vino della mia emozione.
L'aglianico acquisisce qui, proprio come il Nebbiolo e il Barolo, inimitabili virtú”.
Significativo è l'allineamento con il piemontese Barolo giudicato, come tutti sanno, “il re dei vini, il vino dei re”.
Arturo Marescalchi, famoso enologo piemontese, scrisse: “Devo asserire, domandando scusa ai miei Barbera e Barolo, che il Taurasi è il loro fratello maggiore” (1937).
Un altro piemontese, Pier Giovanni Garoglio, autorità mondiale nel campo dell'enologia, a sua volta dichiarò: “il Taurasi è al fine Barbera e al Barolo, sotto le cui denominazioni viene ordinariamente smerciato da commercianti piemontesi” (1944).
E Paolo Desana, anche lui piemontese, convenne”: “E' indubbio che il vino Taurasi può figurare alla pari con i vini di gran fama” (1972), mentre Adriano Ravegnani, colpito dalla longevità del Taurasi, constata: “Ha una straordinaria caratteristica: quella della longevità.
Infatti può invecchiare anche 20 o 30 anni, in continua ascesa” (1980).
Infine Giorgio Mistretta riconosce che: “una delle perle piú smaglianti della nostra enologia è il Taurasi: un rosso di grandissimo lignaggio, di nobiltà assoluta, che deve la sua eccelsa qualità al vitigno Aglianico.
È tra i vini piú longevi d'Europa (1984).
Potremmo continuare a citare giudizi, peraltro tutti positivi, espressi da moltissimi intenditori non soltanto italiani ma anche stranieri, riguardo a questo vino eccellente, raffinato, aristocratico.
Ma, non essendo ciò possibile, terminiamo con una testimonianza, per così dire, romantica di Mario Soldati che, nel suo splendido libro “Vino al vino”, descrive le sensazioni da lui provate nel bere un bicchiere di Taurasi piuttosto giovane, il primo della sua vita: “Profumo sottile, come di lampone.
Colore granato denso, che tende all'arancione, e piú ancora mi sembra che debba tenere con l'invecchiamento. Estremamente secco, quasi allappante: altro segno, per un vino come questo, di relativa giovinezza… e direi che, sempre con l'invecchiamento, dovrebbe ammorbidirsi, arrotondarsi, perdere ogni fortore.
Man mano, infatti, che passiamo a bottiglie piú antiche, la mia previsione si verifica puntualmente. Insomma si tratta di un vino di prima classe: un grand vin”. Un grande vino, senza dubbio, forte di carattere, robusto di corpo ma di stoffa elegante, dal sapore asciutto, pieno ed armonico, di odore gradevole che diventa bouquet con il trascorrere degli anni.
Solitamente chiamato “Barolo del sud”, il Taurasi felicemente si sposa con arrosti di carni rosse, selvaggina e cacciagione, tacchino ripieno, agnello alla griglia, fegatelli di maiale nella rete, porcini alla brace, formaggi stagionati e piccanti, ma pure con qualche primo piatto (fusilli di pasta fresca, ravioli farciti, gnocchi di patate, lasagne alla napoletana) purchè condito con un sugo denso, come il partenopeo ragú.